La Prima Guerra Mondiale non ha solo cambiato la storia, ma ha anche lasciato tracce nel linguaggio di tutti i giorni.
Le trincee, il fango, la paura e la convivenza forzata tra soldati di ogni regione, hanno dato vita a nuovi modi di dire, alcuni ancora in uso oggi.
Ma quali espressioni nacquero in quegli anni di sangue e sofferenza?
1. “Andare all’assalto”
Oggi si usa per indicare un’azione energica e decisa, ma per i soldati della Grande Guerra aveva un significato molto più tragico.
L’assalto era il momento più temuto, quando si doveva uscire dalla trincea e correre verso le mitragliatrici nemiche.
Pochissimi sopravvivevano ai primi metri, tanto che gli ufficiali distribuivano lettere precompilate per le famiglie.
Nel linguaggio comune è rimasta l’idea di un’azione disperata e senza ritorno.
2. “Essere in prima linea”
Oggi significa essere in prima fila in una situazione difficile o impegnativa, ma nelle trincee aveva un senso letterale.
La prima linea era il punto più pericoloso del fronte, dove si resisteva agli attacchi nemici e si combatteva corpo a corpo.
I soldati in prima linea dormivano pochissimo, sempre pronti a rispondere a un assalto improvviso.
Essere spediti in prima linea era spesso una condanna a morte.
Oggi usiamo questa espressione per insegnanti, medici e lavoratori impegnati in emergenze, ma il suo peso storico è ben più tragico.
3. “Prendere una sbornia colossale”
Sappiamo tutti cosa significa oggi, ma durante la Grande Guerra l’alcol aveva un ruolo fondamentale nelle trincee.
I soldati ricevevano una razione giornaliera di vino, spesso l’unico sollievo dalle condizioni disumane.
Prima degli assalti, molti bevevano per farsi coraggio, visto che le possibilità di sopravvivere erano minime.
Gli ufficiali chiudevano un occhio sugli eccessi, perché il vino aiutava a mantenere il morale (e l’obbedienza).
Da qui nacque l’idea di una “sbornia colossale” come qualcosa di inevitabile, necessario, e spesso autodistruttivo.
4. “Restare sul campo”
Oggi si usa per indicare chi porta a termine un lavoro fino in fondo, ma nel 1915-18 aveva un significato molto più letterale.
“Restare sul campo” significava morire in battaglia, senza che il corpo potesse essere recuperato.
Era il modo usato nei bollettini ufficiali per comunicare le perdite, senza dire apertamente che un soldato era morto.
Molte lettere inviate alle famiglie parlavano di un figlio “rimasto sul campo”, un eufemismo per evitare di descrivere la brutalità della guerra.
Oggi la frase conserva ancora un senso di sacrificio e dedizione, ma pochi ricordano la sua origine tragica.
5. “Passare in rassegna”
Oggi significa esaminare attentamente qualcosa o qualcuno, ma in guerra era un momento di tensione.
I generali passavano in rassegna le truppe prima di una battaglia, controllando uomini ed equipaggiamenti.
A volte, la rassegna serviva a individuare chi doveva essere punito, soprattutto sotto il comando di Cadorna.
Per i soldati, era un momento di ansia, perché un semplice dettaglio fuori posto poteva costare caro.
L’espressione è rimasta nel linguaggio comune, ma senza il terrore che evocava un tempo.
Dove approfondire la storia del linguaggio nella Grande Guerra?
🏛 Museo della Grande Guerra di Rovereto – Contiene lettere e documenti originali con i modi di dire dei soldati.
📜 Archivio Storico della Lingua Italiana – Raccoglie studi sull’evoluzione del linguaggio durante la guerra. Consulta l’archivio
Usi ancora uno di questi modi di dire senza conoscerne l’origine?
Se conosci altre espressioni e modi di dire della Grande Guerra, scrivile nei commenti!
Perché le parole sono l’unico pezzo di trincea che ci portiamo ancora dietro.