L’assalto alla prima linea: il momento più terribile della guerra di trincea

Assalto prima linea Grande Guerra

Poche esperienze nella Prima Guerra Mondiale furono più spaventose dell’assalto alla prima linea nemica.

Era il momento in cui i soldati, dopo giorni o settimane di attesa nelle trincee, ricevevano l’ordine più temuto: uscire dal riparo e correre contro il nemico.

Molti non sopravvivevano ai primi dieci metri. Ma come avveniva un assalto in prima linea? Quali erano le tattiche usate? E cosa passava nella mente di chi sapeva di avere poche possibilità di tornare indietro?

1. L’attesa prima dell’attacco: paura e rassegnazione

L’assalto non avveniva mai senza una preparazione. Le ore precedenti erano cariche di tensione.

I soldati sapevano che sarebbero andati incontro alla morte, ma non potevano opporsi.
Molti scrivevano lettere alle famiglie, sperando che qualcuno le consegnasse se non fossero tornati.
In alcuni casi, si distribuiva alcol per “dare coraggio” ai soldati prima dell’attacco.

La notte precedente era insonne. Nessuno parlava. Tutti aspettavano il fischio fatale del comandante.

2. Il bombardamento d’artiglieria: l’illusione di aprire la strada

Prima dell’assalto, l’artiglieria italiana o alleata bombardava le trincee nemiche.

L’obiettivo era distruggere il filo spinato e le difese avversarie.
Si sperava di decimare i nemici e renderli incapaci di reagire.
Spesso, però, l’effetto era minimo: il filo spinato resisteva, e il nemico sopravviveva nascosto nei rifugi sotterranei.

Quando il fuoco cessava, i soldati sapevano che era arrivato il momento di uscire.

3. Il fischio del comandante: l’ordine di scattare

A un’ora prestabilita, il comandante soffiava nel fischietto.

Era il segnale: bisognava scavalcare la trincea e correre avanti.

I primi a uscire erano quasi sempre condannati: venivano falciati dalle mitragliatrici prima ancora di poter sparare un colpo.
Il filo spinato era spesso ancora intatto, e i soldati rimanevano impigliati, diventando bersagli facili.
La “terra di nessuno” era un inferno di proiettili, schegge e fango, senza ripari.

Alcuni si fermavano per paura, ma chi non avanzava rischiava di essere fucilato dai propri ufficiali.

4. Il combattimento corpo a corpo: il caos tra le trincee nemiche

Se i soldati riuscivano a raggiungere la prima linea nemica, iniziava la battaglia più brutale:

Si combatteva con baionette, pugnali e persino vanghe da trincea.
Le pistole venivano usate negli spazi stretti delle trincee.
Nessuna pietà per chi si arrendeva: spesso non c’era il tempo di fare prigionieri.

Se l’assalto riusciva, i sopravvissuti consolidavano la posizione e attendevano il contrattacco nemico. Se falliva, chi rimaneva in piedi doveva ripiegare sotto il fuoco incrociato.

5. Il bilancio dell’assalto: sangue e fango per pochi metri di terreno

Quasi tutti gli assalti costavano centinaia o migliaia di vite, spesso per conquistare pochi metri di terra.

Nelle battaglie dell’Isonzo, migliaia di soldati morirono per avanzare solo qualche centinaio di metri.
Le trincee perse venivano spesso riconquistate il giorno dopo, in un massacro senza fine.
Molti soldati impazzivano dopo un assalto, incapaci di sopportare lo shock.

Alla fine, la Prima Guerra Mondiale dimostrò che gli assalti frontali erano inutili e suicidi, ma i generali li ordinarono fino all’ultimo giorno di guerra di trincea.

Come immagini il momento di uscire dalla trincea?

Se hai storie di famiglia o conosci testimonianze, condividile nei commenti!

Perché il vero inferno della guerra iniziava con un fischio.